Vigilanza, in commissione i manager di Facebook e Google Italia su libertà di espressione, lotta alle fake news

Al centro la tutela della sicurezza degli utenti ma allo stesso tempo garantire la possibilità di esprimersi liberamente.
Tecnologia e innovazione. 16/09/2020 - In commissione Vigilanza sul pluralismo dell'informazione i Public Policy Manager di Facebook Italia, Angelo Mazzetti, e Google Italia, Diego Ciulli. Tema dell’audizione la libertà di informazione ed espressione, la lotta alle fake news e gli algoritmi di censura degli utenti.

Sul ruolo che le piattaforme si sono trovate a svolgere, controbilanciando interessi contrastanti, Mazzetti ha ribadito quanto sostenuto e chiesto dal fondatore, presidente e amministratore delegato del social network, Mark Zuckerberg, intervenendo recentemente nel dibattito scaturito dallo scontro tra il presidente Usa Donald Trump e il rivale di Facebook, Twitter, e cioè che le piattaforme Internet non debbano essere “gli arbitri della verità”. “Sono scelte che non crediamo debba fare una società privata, ma nonostante ciò questo è il compito che oggi ci troviamo a svolgere, ed è per questo che da anni chiediamo lo sviluppo di quadri regolamentari, che diano anche più legittimità a questo genere di scelte”, ha detto il manager.

Quanto alla sicurezza dell’utente, “perché senza sicurezza e senza che l’utente si senta libero di parlare non ci può essere libertà di espressione - ha proseguito - Facebook “ha creato nuove opportunità per la libertà di espressione, ma anche nuovi rischi e non sempre abbiamo saputo anticipare le difficoltà che si sono manifestate dal connettere così tante persone. La disinformazione è sicuramente uno di questi e uno dei più difficili da affrontare. Abbiamo cercato di imparare dai nostri errori, con investimenti molto forti che ci hanno portato ad assumere 35.500 persone che si occupano esclusivamente di sicurezza della piattaforma, spendendo solo lo scorso anno in sicurezza il totale di ricavi di quando la società si è quotata in borsa: pari a 3,7 miliardi di dollari”.

Tutelare la sicurezza degli utenti ma allo stesso garantire la possibilità di esprimersi liberamente, che era lo scopo per il quale Facebook era nato nel 2004. Per questo sono stati creati i cosiddetti Standard della comunità che determinano tutto ciò che può essere pubblicato o meno sulla piattaforma e che rappresentano l’insieme delle regole che gli utenti si impegnano a rispettare quando si iscrivono sulla piattaforma. “Gli standard della comunità sono pubblici, consultabili, un insieme di regole estremamente dettagliate e ampie, in costante evoluzione e vengono modificati sulla base di una costante consultazione pubblica con tantissimi partner, cercando di garantire la massima rappresentanza geografica e culturale”. 

Nel marzo scorso è stato pubblicato il quinto report (pubblicato ogni tre mesi) sull’applicazione di questi standard: da gennaio a marzo sull’hate speech Facebook ha rimosso 9,6 milioni di contenuti, l’88,8% dei quali sono stati individuati prima che gli utenti li segnalassero, grazie all’intelligenza artificiale e revisione manuale (utilizzando – ha spiegato Mazzetti - personale non solo madrelingua ma anche inserito nel contesto sociale e culturale in modo da capire le sfumature delle parole). “Nel trimestre successivo abbiamo rimosso 22,5 milioni di contenuti di hate speech, il 94,5% dei quali prima che gli utenti ce li segnalassero. Numeri che dimostrano un avanzamento di carattere tecnologico. Per trovare il giusto bilanciamento tra sicurezza e libertà di espressione non ci approcciamo a tutti i contenuti nello stesso modo – ha chiarito Mazzetti -. Il nostro approccio si basa su tre pilasti principali contro la disinformazione: rimozione (di contenuti che violano gli standard come hate speech, diffamatori, o illegali cioè segnalati da un giudice o autorità competente, profili falsi - rimossi 1,7 miliardi in tre mesi tra gennaio e marzo 2020 – contro le policy anche contenuti falsi o ingannevoli che potrebbero avere conseguenze per l’incolumità o la sicurezza delle persone e che potrebbero creare un danno imminente); riduzione della visibilità per i contenuti che non violano gli standard (collaborando con una comunità di fact checking indipendenti, circa 70 nel mondo in oltre 50 lingue, firmatari di un codice di condotta. Nel caso viene mostrato un messaggio che informa che il fact checker l’ha ritenuto falso) e infine l’informazione: è chiaro che servono più competenze digitali, consapevolezza, capacità di gestione dell’ecosistema informativo e mediatico su Internet, per questo tramite lo sviluppo di strumenti e procedure abbiamo cercato di dare più informazioni utili possibili affinché le persone possano sviluppare la propria opinione rispetto a un contenuto, un profilo, un gruppo”.

Un passaggio anche sulle notizie rispetto al Covid-19, per il quale è stato creato un centro informazioni stabile all’interno di Facebook con informazioni autorevoli che provengono dalle maggiori autorità globali e locali, che ha portato oltre 2 miliardi di persone a connettersi. Sono state rimosse notizie false sul virus, segnalate dalle principali organizzazioni sanitarie mondiali, che potevano causare danni alla vita e alla salute delle persone, mentre sulle affermazioni che non provocano diretto pericolo per la vita entrano di nuovo in gioco i fact checker.

“Le scelte che abbiamo dovuto fare in questi anni - ha concluso Mazzetti - hanno rappresentato dei veri e propri dilemmi. Come bilanciare la privacy delle persone con la tutela della loro sicurezza? Come distinguere cosa è vero da cosa è invece una deliberata distorsione manipolativa e come combattere la disinformazione? Per questo Facebook ha da tempo chiesto e auspicato lo sviluppo di nuovi quadri normativi che possano indicare e regolamentare la gestione dei contenuti online, volti a garantire che le decisioni prese dalle aziende riducano al minimo i danni per gli utenti ma allo stesso tempo rispettino il diritto fondamentale alla libertà di espressione, a proteggere la libertà di chi ha meno voce, a preservare l’apertura della Rete, ad assicurare che rimanga quello splendido strumento democratico che è stato in molti casi funzionale per una maggiore partecipazione al dibattito pubblico. Questo dibattito sarà essenziale per definire il carattere di Internet per i decenni a venire, per assicurarsi che rispetti le premesse e le aspettative. L’Europa ha un grande ruolo da giocare. Abbiamo assistito allo sviluppo di due grandi modelli di Internet, quello statunitense, molto focalizzato sulla libertà di espressione e quello della Cina, che è stato comunque un modello di successo che ha portato moltissime aziende ad affermarsi sul mercato internazionale tanto che nella lista delle prime 30 aziende di Internet al mondo 15 sono cinesi e 15 statunitensi, un modello completamente opposto che controlla invece al massimo tutto quello che si può dire o non dire. Per quanto l’Europa abbia perso la sfida di mercato, credo abbia un ruolo da giocare nella definizione di quadri normativi e regolamentari, perché comunque continua ad avere un grandissimo peso politico”.

Quanto al mondo dell’informazione, Mazzetti ha riferito che Facebook sta “investendo moltissimo per cercare di contribuire alla trasformazione del modello di business della stampa. Collaboriamo in tutto il mondo con editori, sviluppando strumenti che possano tutelare la loro proprietà intellettuale e allo stesso tempo prodotti che possano ampliare le possibilità di monetizzazione e aumentare la propria audience di lettori”.

Notizia recente di qualche settimana fa, lanciata qualche mese fa negli Stati Uniti e a breve anche in Italia, una sezione specifica all’interno di Facebook, che si chiamerà News, all’interno della quale si troveranno solo contenuti provenienti da editori riconosciuti per i quali ci sarà un corrispettivo rispetto al valore dei contributi originali caricati. Gradualmente si svilupperà in altri paesi, anche alla luce dell’imminente implementazione della recente direttiva Copyright.

Nell’ottobre del 2018 invece, è stato aperto un spazio fisico a Roma che ha portato alla formazione in un anno e mezzo di oltre 100 mila persone sulle competenze digitali con corsi gratuiti di Facebook, Instagram e Whatsapp, i tre servizi principali della società, ma anche di altri partner.

Nella seconda parte dell’incontro è intervenuto Diego Ciulli di Google Italia, per il quale il bilanciamento tra interessi pubblici e privati è la base del successo del motore di ricerca Google.

“Il web è ricchissimo di motori di ricerca, il nostro interesse privato e commerciale è far sì che si continui a utilizzare Google, quindi fallirebbe come impresa se arrivassero sistematicamente come primi risultati informazioni fuorvianti. Il secondo modo in cui abbiamo attuato il bilanciamento è una separazione radicale dell’investimento pubblicitario rispetto ai risultati di ricerca naturali. E’ completamente impossibile comprare gli spazi liberi, organizzati da un algoritmo sulla base di criteri talmente complessi sui quali si è creata un’industria in Italia e nel mondo, quella del Search Engine Optimization. È una sfida costante e quotidiana. Sulla trasparenza, abbiamo fatto qualche anno fa una scelta radicale: la struttura dell’algoritmo rappresenta un segreto commerciale, ma i criteri di educazione e di ranking di un algoritmo sono in larga parte pubblici, gli algoritmi sono “allenati” da esseri umani, persone che regolarmente fanno test di ricerca e insegnano agli algoritmi a identificare pagine autorevoli piuttosto che altre. Le linee guida di questi valutatori sono pubbliche, complesse (un libro di circa 130 pagine) e a disposizione della comunità scientifica e delle istituzioni. Sul motore di ricerca non andiamo mai a rimuovere la singola pagina ma facciamo in modo che chi cerca informazioni trovi prima fonti autorevoli e poi tutte le altre”.

Ciulli ha poi chiarito che la G Suite, una suite di software e strumenti di produttività per il cloud computing  e per la collaborazione che include applicazioni come Gmail e Calendar per la comunicazione, offerta gratuitamente agli utenti di Google, “è un prodotto e un servizio completamente separato dalla profilazione degli utenti per fini pubblicitari, i dati restano nella proprietà e disponibilità di chi la usa. La profilazione esiste sull’attività pubblicitaria, quella sui risultati di ricerca naturale è molto debole”.

Sull’attendibilità delle fonti e il mondo dell’informazione, mentre Google indicizza tutto ciò che è in Rete, Google News permette di trovare la stessa notizia presentata da fonti giornalistiche professionali diverse, “il motivo per cui è nato il servizio. Pensiamo davvero di essere un partner per la transizione del mondo del giornalismo al digitale e stiamo investendo moltissimo in questa direzione”.

“Abbiamo annunciato a metà luglio un piano di investimenti in Italia di oltre 900 milioni di euro in 5 anni sul supporto alla digitalizzazione e innovazione alla Piccola e Media Impresa  e poi investiremo molto sulla formazione delle PMI, anche in partnership con Unioncamere e la Camera di Commercio di Roma e del Lazio. Già dalle prossime settimane vedrete fiorire molte attività all’interno del nostro territorio. Quanto al diritto al pluralismo e alla conoscenza, stiamo facendo molto dal punto di vista tecnologico, dobbiamo fare molto di più dal punto di vista educativo, e credo che lo dobbiamo fare anche insieme. Su questo c’è molto lavoro da fare e siamo pronti a farlo anche in Italia”. A cura dell'Ufficio stampa del Consiglio Regionale del Lazio