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Definizione per: Questione di legittimità costituzionale



  • Questione di legittimità costituzionale
  • Cost., artt. 127, 134 e 137
    l. cost. 1/1948
    l. 87/1953
    Stat., art. 41, co. 4


    L’ordinamento costituzionale attribuisce alla Corte costituzionale la funzione, tra le altre, di giudicare se le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato ovvero le leggi delle Regioni e delle Province autonome siano conformi alla Costituzione ed alle leggi costituzionali. In realtà, è anche possibile che la norma che funge da parametro per la verifica della legittimità costituzionale sia rappresentata da una fonte sub-costituzionale: l’esempio classico è costituito dalla legge delega, i cui principi vincolano, per espressa previsione costituzionale, il relativo decreto legislativo del Governo. In tali casi si adopera la locuzione di “norma interposta” per definire quella norma che, pur non avendo rango costituzionale, assurge, sia pure in modo indiretto, a parametro di legittimità.

    Il procedimento di legittimità costituzionale è introdotto o a seguito della rimessione da parte di un giudice nell’ambito di una controversia di merito, cd. giudizio in via incidentale, ovvero a seguito di ricorso da parte dello Stato nei confronti di una legge regionale o di una Provincia autonoma, oppure da parte di queste ultime nei riguardi di una legge o atto avente forza di legge dello Stato o di una legge di un’altra Regione, cd. giudizio in via principale. Inoltre la Corte, attraverso la propria giurisprudenza, si è dichiarata legittimata a sollevare questioni di legittimità relativamente alle norme che è chiamata ad applicare nell’esercizio delle sue funzioni.

    Per quanto concerne il giudizio in via principale, con la riforma del Titolo V della Costituzione è stato stabilito uno stesso termine sia per lo Stato che per le Regioni a statuto ordinario per poter presentare ricorso alla Corte: sessanta giorni dalla pubblicazione dell’atto.

    E’ da sottolineare il fatto che i parametri di riferimento per i ricorsi sollevati dallo Stato e per quelli sollevati dalle Regioni risultino asimettrici: mentre il Governo può ricorrere contro una legge regionale ogni volta che questa “ecceda” la competenza della Regione stessa, le Regioni possono ricorrere avverso un atto legislativo statale esclusivamente nel caso in cui quest’ultimo “leda” le sue competenze. In altre parole, allo Stato è affidato, come d’altronde già avveniva prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il compito della tutela complessiva dell’ordinamento, mentre le Regioni possono promuovere questione di legittimità costituzionale solo nel caso in cui la legge statale dovesse intervenire in ambiti di loro competenza.

    Lo Statuto attribuisce al Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale, la funzione di impugnare le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato nonché le leggi delle altre Regioni. L’impulso all’impugnativa può provenire dal Consiglio delle autonomie locali.

    Il giudizio di legittimità costituzionale si conclude con una decisione di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento.

    Nel primo caso, inammissibilità, è riscontrata la mancanza dei presupposti per l’instaurazione del giudizio.

    Nel secondo caso, rigetto, la questione di legittimità viene ritenuta infondata, almeno sotto il profilo in cui è stata prospettata al Giudice delle leggi.

    Nell’ultimo caso, accoglimento, viene dichiarata l’illegittimità delle disposizioni impugnate; la sentenza ha valore costitutivo e la disposizione censurata non può essere più applicata a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione anche se, per un orientamento consolidato, tale tipo di sentenza esplica effetti anche sui rapporti precedentemente costituiti purchè non esauriti e pertanto ancora pendenti.
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